L’attuale guerra in Ucraina si svolge in un momento sanitario molto particolare contraddistinto dalla diffusione di Sars-CoV2, agente eziologico della malattia COVID-19.
In questo contesto, i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riportano, dall’inizio della pandemia, oltre 16 milioni di casi e 350.000 decessi in Russia, e 4,8 milioni di casi e 105.000 decessi in Ucraina. Ciò significa che la guerra si sta svolgendo in un momento di pandemia estremamente delicato per i due Paesi. La Russia ha somministrato circa 170 milioni di dosi di vaccino ad una popolazione di 146 milioni di persone, mentre l’Ucraina circa 31 milioni di dosi su 48,5 milioni di abitanti, al momento il processo di vaccinazione è ovviamente bloccato e questo aumenta la vulnerabilità della popolazione al virus. A questo, si aggiunge una maggiore diffusione ed esposizione a Sars-CoV-2 determinata dall’assenza di distanziamento fisico, impossibile nei rifugi sotterranei.
La pandemia di COVID-19 non è, però, l’unica emergenza sanitaria che gli ucraini stanno affrontando. In Ucraina, infatti, le malattie croniche non trasmissibili, come ipertensione e diabete, sono la principale causa di morte, a queste si aggiungono focolai di poliomielite e morbillo che minacciano la salute dei bambini, e tassi di HIV e tubercolosi tra i più alti in Europa. Questo è lo scenario che il sistema sanitario ucraino stava affrontando prima dell’inizio del conflitto, ma oggi deve fare i conti con un numero crescente di pazienti feriti e politraumatizzati e con servizi sanitari che risentono della mancanza di manutenzione delle attrezzature mediche, della scarsità di farmaci e forniture mediche e di insufficiente personale.
La situazione dei pazienti ucraini è ulteriormente peggiorata in seguito ai danni alle infrastrutture determinati dall’invasione russa; l’OMS ha, infatti, confermato almeno 70 attacchi russi alle strutture sanitarie del Paese. Tali attacchi, combinati con la distruzione di strade, ponti e reti di trasporto pubblico, impediscono ai cittadini di ricevere assistenza medica, aumentando il rischio di lesioni ed infezioni a lungo termine.
Anche i servizi specialistici sono stati interrotti, gli assalti militari russi hanno costretto alla chiusura delle cliniche per l’HIV a Kharkiv e Mariupol, portando i pazienti ad interrompere il trattamento con conseguente aumento del rischio di insorgenza e diffusione di HIV farmaco-resistente, riduzione delle opzioni di trattamento e maggiore trasmissione del virus. Ugualmente, il programma di controllo della tubercolosi ha subito gravi conseguenze in seguito al conflitto, infatti, chi è affetto da tubercolosi ed è fuggito dalle zone di guerra per raggiungere regioni più sicure dell’Ucraina, ha dovuto interrompere il trattamento aumentando, così, il rischio di morte, trasmissione e comparsa di ceppi farmaco-resistenti.
Di fronte a questo scenario, le cui conseguenze per la salute vanno oltre l’immediato, l’essere umano dovrebbe staccarsi dalla sua natura e provare a guardare oltre la diretta conseguenza di una azione.
Quando una guerra accade l’uomo tende spesso ad analizzarne gli aspetti politici, economici o di salute diretti, tralasciando i gravi effetti indiretti sui sistemi sanitari e le conseguenze catastrofiche, che questi hanno, sulla popolazione civile.
Nel documento di costituzione dell’OMS del 1948 si legge:
“Il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano, senza distinzione di razza, di religione, d’opinioni politiche, di condizione economica o sociale”.
“La sanità di tutti i popoli è una condizione fondamentale della pace del mondo e della sicurezza; essa dipende dalla più stretta cooperazione possibile tra i singoli e tra gli Stati”.